La pandemia espone la persona del lavoratore al rischio di contrarre la malattia nei luoghi ove presta l’attività e pone il problema di delimitare i confini dell’eventuale responsabilità, civile e penale, del datore di lavoro.
I recenti interventi normativi in materia sono l’occasione per una riflessione che segni i termini della questione da parte di chi ha consuetudine, per obbligo professionale, con l’analisi del diritto positivo, secondo ciò che è e non per quello che appare o si vorrebbe fosse.
L’idea di fondo è che “il racconto sviluppi una commedia degli inganni”: così come i giudizi della mente, influenzati da scelte intuitive rese in condizioni di allarme e di incertezza, generano “illusioni percettive” che condizionano i comportamenti individuali, allo stesso modo la distorta percezione dei fenomeni giuridici, determinata da difetti di comprensione ma anche dagli umori dell’opinione pubblica tanto più variabili in situazioni emergenziali, procura illusioni alla mente collettiva, orientandone le valutazioni e le scelte secondo ciò che solo falsamente illude.