Un particolare tipo di società a partecipazione pubblica è rappresentato dalle società “in house”, società affidatarie dirette di servizi di interesse generale, la cui legittimità trova ora un preciso ancoraggio normativo. Le società “in house”, che costituiscono un ircocervo in cui convivono istituti privatistici con regole di dichiarata origine pubblicistica, fondano la propria legittimità da un lato nella stretta osservanza dei principi posti tanto dal Testo Unico quanto dal codice dei contratti pubblici, dall’altro nel rispetto del principio di efficienza, efficacia e buon andamento della pubblica amministrazione. Per cui la pubblica amministrazione è legittimata a ricorrere all’affidamento diretto del servizio di interesse generale alla propria partecipata solo ove tale modalità di gestione si prefiguri come maggiormente conveniente rispetto alla esternalizzazione del servizio stesso. Il modello dell’affidamento “in house” ha trovato nel tempo applicazione anche in campo sanitario. Numerose aziende sanitarie locali, infatti, hanno affidato alcuni servizi di interesse generale (in particolar modo servizi strumentali quali le pulizie, la custodia, ecc..). L’affidamento “in house” da parte di Aziende del Servizio sanitario pone inediti interrogativi relativamente al rispetto, oltre dei principi innanzi ricordati, delle regole in materia di trasparenza e tutela della concorrenza. Questo lavoro, che è un aggiornamento della tesi di laurea specialistica in Consulenza professionale per le Aziende di Emanuela Resta si è interessato dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, evidenziando le criticità ed i possibili pericoli sia sotto il profilo strettamente efficientistico, sia sotto il profilo del diritto della concorrenza.