La stabilità dei pagamenti eseguiti all’esito delle procedure espropriative costituisce un tema da sempre dibattuto in dottrina e giurisprudenza. Un tema che, coinvolgendo l’impostazione dell’esecuzione forzata, i poteri del giudice dell’esecuzione, l’oggetto delle domande formulate dai creditori procedente e intervenuti nonché la portata dei rimedi endoesecutivi, presenta notevoli difficoltà teoriche e delicati risvolti pratici.
L’autore, nel darsi carico di dimostrare, in una dimensione storica e transnazionale, che gli ordinamenti processuali tendono costantemente a riconoscere l’irripetibilità del riparto, muove da una serrata critica della letteratura formatasi in subiecta materia vigente il testo originario del c.p.c. 1940. Rilevato che una sia pur parziale sovrapponibilità tra le opposizioni di merito, formali e distributive nuoce non solo alla linearità dell’espropriazione ma anche all’armonia delle decisioni, incidendo negativamente sulla effettività della tutela delle parti, traccia precise linee di confine fra quei rimedi. Inoltre, postulando una stretta contiguità tra le esecuzioni singolare e concorsuale, pone al centro di entrambe il diritto al concorso quale pretesa fondata non già sulla obbligazione inadempiuta, bensì sugli artt. 2740 e 2741 c.c. Da tali presupposti fa discendere, in un’ottica sistematica, la intangibilità delle somme attribuite ai creditori.