Il concorso “anomalo”, descritto all’art.116 c.p., costituisce uno dei “capitoli” più controversi della disciplina dell’illecito plurisoggettivo sotto il profilo della (s)oggettività e della responsabilità penale. Il presente lavoro monografico si interroga sul se, come e perchè il concorrente in un reato debba rispondere dello stesso, pur in assenza di volontà nel commetterlo. Le risposte, già fornite dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza (più datata), soddisfano solo parzialmente l’assunto negatorio di una oggettivizzazione dell’animus concorsuale ‘anomalo’, interpretando l’art. 116 c.p. in termini sostanzialmente colposi, allo scopo di assolvere il sistema penale dal meccanismo incostituzionale del ‘versari in re illicita’. Un attento e diverso esame dogmatico rivela - non solo - i limiti connessi a caratterizzazioni in termini di colpa del coefficiente psichico del complice “nolente”, ma soprattutto contrasti endogeni alla stessa concettualizzazione della colpevolezza. Ne consegue un’ipotesi alternativa di reinquadramento ex novo della richiamata norma di parte generale, come ipotesi dolosa eventuale, nonostante le problematiche connesse a un simile percorso ermeneutico e ad una complessa evoluzione giurisprudenziale (caso Cucchi/caso Vannini), anche internazionale (extended Joint Criminal Enterprise).