Per molto tempo la previdenza complementare è stata un fenomeno esclusivamente sindacale gestito, quindi, in regime di libertà assoluta. Quel fenomeno, però, aveva carattere elitario essendo limitato ai dipendenti da datori di lavoro che, per il loro posizionamento sul mercato, si trovavano nelle condizioni di sostenere gran parte, se non tutto, il costo del finanziamento di regimi previdenziali integrativi o sostitutivi di quello pubblico.
Con la conseguenza che la realizzazione di quella tutela dipendeva inevitabilmente dal permanere di quelle condizioni. È, poi, avvenuto che, quando a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, la crisi economica ha imposto venisse ridotta l’effettività della tutela previdenziale pubblica che si realizza mediante l’erogazione di prestazioni pensionistiche, il legislatore ritenne di attenuarne le conseguenze favorendo il ricorso alla previdenza complementare.
Nel far ciò il legislatore ha anche perseguito due ulteriori obiettivi: rendere più solide le strutture della previdenza complementare per garantirne la realizzazione e destinare le risorse finanziarie rese disponibili da quella previdenza ad alimentare il mercato finanziario. A quest’ultimo effetto ha anche previsto forme di previdenza complementare commerciali equiparate a quelle sindacali.
Ne sono derivati numerosi problemi sia sul piano dei rapporti tra previdenza pubblica e previdenza complementare privata, sia sul piano dei rapporti tra la previdenza complementare sindacale e quella commerciale.