16 - Controllo e motivazione della sentenza di patteggiamento

ISBN: 9791259653826
NUMERO PAGINE: 260
€ 28,00

Sulla scia di una formulazione legislativa alquanto laconica e, a tratti, ambigua, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato il principio secondo cui la motivazione della sentenza di patteggiamento non è vincolata allo standard qualitativo della “normale” sentenza di condanna, dimodoché al relativo obbligo il giudice può adempiere facendo ricorso a formule generiche e, perfino, autoreferenziali.

Lo studio, ricostruito il percorso giurisprudenziale attraverso il quale tale assetto ermeneutico, anche grazie all’atteggiamento “pilatesco” della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, si è progressivamente consolidato, ne mette in evidenza il rischio di collisione con il dovere di motivazione di tutti i «provvedimenti giurisdizionali», ovverosia con quel che, ancor prima di rappresentare un imperativo normativo (art. 111, comma 6, Cost.), costituisce, in un ordinamento democratico, l’essenza stessa della giurisdizione. Rischio che, da un lato, il legislatore sembra ignorare continuando a proporre interventi novellistici volti unicamente a rafforzare la componente premiale del rito speciale e, dall’altro, la Cassazione ritiene di poter escludere in ragione della base consensuale dalla quale promana la sentenza. L’Autore critica tali posizioni, che, oltre a “provare troppo” circa la possibilità di intravedere nella richiesta dell’imputato di applicazione della pena una manifestazione di consapevole rinuncia al “diritto alla motivazione”, paiono accomunati dal fatto che, a ben vedere, dietro il paravento di giustificazioni teoriche poco convincenti, “sacrificano” la funzione cognitiva della sentenza di patteggiamento in nome di una, indimostrata e indiscriminata, prevalenza della logica giudiziaria efficientista. Il quadro così delineato risulta aggravato dall’impossibilità che la motivazione della sentenza negoziata, ancorché sommaria, sia sottoposta a un controllo esterno, per via della sua ricorribilità, quantomeno, in Cassazione. Conclusione, questa, alla quale si è giunti, ancora una volta, attraverso una sorta di azione simbiotica tra il legislatore e la giurisprudenza, giacché il primo, interpolando, l’art. 448 c.p.p., vi ha introdotto un elenco speciale di motivi per i quali il suddetto ricorso può essere proposto (elenco che, peraltro, ha sostanzialmente recepito quanto il formante giurisprudenziale aveva già prodotto non senza una forte dose di creatività ermeneutica) e la seconda, chiamata a dare un significato alla novella legislativa, ne ha escluso il carattere “aperto” all’integrazione con la ricorribilità del vizio di motivazione ex art. 111, comma 7, Cost. (se non limitatamente alla parte non negoziale della sentenza). La conclusione è desolante, non potendo negarsi che un tale restringimento dei margini di verificabilità della decisione negoziata ne rende il diritto al controllo del tutto ineffettivo e, in ultima analisi, fornisce tacita copertura a un’area di poena sine iudicio. Lo stato dell’arte, tuttavia, appare profondamente radicato nella politica legislativa e giudiziaria attinente al processo penale, al punto che ipotizzarne una totale reversibilità risulterebbe frutto di mera utopia dottrinale. Pertanto, nel prendere atto delle nuove esigenze che la società postmoderna pone e dei riflessi che esse, inevitabilmente, determinano sulle categorie giuridiche tradizionali, l’Autore elabora ed aupica soluzioni de iure condendo che, pur muovendosi nella direzione della semplificazione della motivazione (e del maggior grado di resistenza della decisione in sede di impugnazione), ne recuperino, quantomeno, il nucleo intangibile, rendendo effettivo l’obbligo del giudice di dimostrare di avere giudicato e non, semplicemente, deciso.

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Anno Edizione 2024
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